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In un’intervista di qualche anno fa descriveva la propria esperienza di poeta ermetico come una irriflessa necessità giovanile, più che una scelta. E lo faceva per sottolineare la complessità e

In un’intervista di qualche anno fa descriveva la propria esperienza di poeta ermetico come una irriflessa necessità giovanile, più che una scelta. E lo faceva per sottolineare la complessità e la lunghezza del suo percorso poetico, che da quegli esordi era approdato a esiti molto mutati.
Eppure, di Alessandro Parronchi, spentosi ieri nella sua Firenze alla venerabile età di novantadue anni, resterà soprattutto il ricordo degli anni in cui allo storico caffè delle Giubbe Rosse egli era uno dei talentuosi giovani che, assieme a Leone Trverso, a Piero Bigongiari, a Carlo Bo, a Sergio Baldi e Mario Luzi animavano l’ambiente dell’ermetismo fiorentino. È la stagione di raccolte come I giorni sensibili (1941), I visi (1943), Un’attesa (1949); del 2000 la silloge complessiva delle Poesie (edita da Polistampa Firenze), dell’anno successivo il «quaderno» Quel che resta del giorno. Poeta amico dei massimi poeti e dei migliori artisti del suo tempo, Alessandro Parronchi ha costruito durante la sua lunga vita una vasta e frastagliata esperienza culturale, in cui un ruolo decisivo ha avuto la riflessione critica sull’arte e sul rapporto - così intenso proprio in quel versante della letteratura novecentesca - fra figurazione e poesia.
A lungo professore ordinario di Storia dell’arte, Parronchi si è occupato di momenti e problemi della sotira della pittura e della scultura italiana dal Rinascimento all’età contemporanea, ma anche di temi di critica militante, di traduzione e del dibattito letterario secondonovecentesco: del 1964 gli Studi sulla “dolce” prospettiva, del 1985 Botticelli fra Dante e Petrarca. Nel 2001, Parronchi aveva ricevuto a Genova il premio 7Dino Campana”.
Data recensione: 07/01/2007
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Lorenzo Tomasin